L'USO SCIENTIFICO

Tubi in camice bianco

In campo medico scientifico l’uso dei tubi a vuoto ha permesso la realizzazione di apparati di cura e diagnosi di importanza basilare.
Le emissioni di onde in radiofrequenza da parte di valvole e oscillatori, oppure il bombardamento di elettroni, o anche la semplice funzione di amplificazione di frequenze ultrasoniche, sono alla base di tutti i moderni sistemi elettromedicali.
Il più semplice e “antico” di questi apparati è il tubo a raggi X per radiografia. Nel 1895, il fisico Rontgen, conducendo esperimenti al buio sui raggi catodici all’interno di tubi a vuoto, si accorse che alimentando il tubo, una lastra ricoperta di Platino-Cianuro di Bario posta a notevole distanza emetteva una debole luminosità, e che, interponendo la propria mano tra il tubo e la lastra, ne veniva proiettata una sorta di ombra, in cui il tessuto appariva come trasparente mentre la struttura ossea risultava opaca. Ne dedusse che dal tubo dovesse provenire un qualche tipo di raggi sconosciuti diversamente assorbiti dalla materia e, non sapendo cosa fossero, li chiamò “X”. Questo episodio segna l’inizio della storia della radiografia, vastamente utilizzata non solo in campo medico, ma anche in quello industriale e civile, per l’ispezione dei bagagli negli aeroporti e il controllo finale su componenti complessi. La radiografia è sostanzialmente rimasta invariata per più di un secolo, e i miglioramenti sui tubi hanno riguardato il controllo delle emissioni per evitare eccessivi e pericolosi irraggiamenti.
Le tecniche di indagine ultrasoniche hanno invece beneficiato dell’invenzione dei tubi a vuoto come amplificatori e oscillatori, poiché elemento centrale dell’emissione è l’effetto piezoelettrico caratteristico di alcuni materiali, in grado di generare tensione elettrica se sottoposti a pressione e, viceversa, modificare le proprie dimensioni se attraversati da corrente elettrica. La tecnica è molto simile a quella del Radar, ove vengono analizzate le onde riflesse dagli oggetti, ma nel caso degli ultrasuoni non si tratta di onde radio, bensì di onde sonore a frequenze non udibili, da 1 a 15 MHz e il medium di propagazione non è l’aria bensì un corpo solido. La prima applicazioni di questo tipo di tecnica fu il Sonar, sviluppato per la conduzione sottomarina dei sommergibili durante la Prima Guerra Mondiale. Uno dei primi apparati a ultrasuoni non militare fu realizzato negli anni 40 ed era uno strumento ad uso industriale per la ricerca di difetti nelle fusioni metalliche. Variazioni nell’eco di ritorno indicavano la presenza di fratture e imperfezioni non visibili dall’esterno. La tecnica di indagine sui tessuti animali venne perfezionata durante gli anni 50, durante i quali venne coniato il nome di “ecografia”, tuttora usato. Uno degli utilizzi più curiosi degli ultrasuoni fu un sistema di addestramento all’uso del Radar realizzato all’inizio degli anni 50 per i piloti di aereo della Marina USA. Consisteva in una piscina di acqua sul fondo della quale erano riprodotti vari profili di terreno, poiché la velocità di propagazione del suono nell’acqua è molto più bassa di quella delle onde elettromagnetiche nell’aria, era possibile condurre un volo simulato in scala ridotta, pilotando a distanza un apparato dotato di Sonar immerso nella vasca.
Un campo molto simile al riscaldamento a dielettrico utilizzato nell’industria, è quello della diatermia elettromagnetica in campo medico. Già nel 1892, Arsène d’Arsonval osservò che una corrente elettrica ad alta frequenza provocava il riscaldamento dei tessuti senza contrazione muscolare. Con lo sviluppo dell’uso delle valvole come oscillatori, fu possibile aumentare progressivamente la frequenza fino ad alcuni MegaHertz. L’impiego della diatermia è preferibile rispetto ad altri sistemi quali l’irraggiamento con infrarossi, poiché permette di raggiungere i tessuti da trattare più in profondità.
Proprio il “bombardamento” con radiofrequenza delle singole molecole è alla base di un altro potente strumento di indagine scientifica, la risonanza magnetica. Sviluppata dai fratelli Varian nell’immediato dopoguerra, sfrutta la radiofrequenza generata da un Klystron per innescare una risonanza nei nuclei. La rotazione del nucleo dell’atomo è caratterizzato da un campo magnetico che può essere orientato con un altro campo magnetico fisso. La frequenza di rotazione è in funzione del tipo di atomo e della potenza del campo magnetico in cui è immerso, ed è conosciuta come frequenza di Larmor. Conoscendo la potenza del campo magnetico e disturbando la rotazione del nucleo con un campo ad altissima frequenza e a banda larga, il nucleo tenderà a risuonare alla sua frequenza caratteristica e unica, producendo delle linee di risonanza caratteristiche. Lo spettrogramma di un composto sconosciuto mostrerà quindi le linee caratteristiche dei singoli elementi che lo compongono, permettendo quindi una analisi sistematica di qualunque composto.
Il Klystron è anche alla base dell’accelereratore lineare di particelle per la cura oncologica. Realizzato a metà degli anni 50 presso l’università di Stanford negli USA, il LINAC venne usato la prima volta nel 1953 presso l’ospedale Hammersmith di Londra. A Stanford è in funzione un acceleratore lineare lungo più di 3 chilometri grazie al quale i ricercatori hanno potuto condurre fondamentali studi nel campo della fisica nucleare.
Non meno importante apparecchio medico utilizzante tubi ad alto vuoto bisogna mettere il microscopio elettronico, inventato da Ernst Ruska e Max Knott nel 1931. La risoluzione minima consentita da un microscopio ottico è legata alla lunghezza d’onda della luce, circa 4 miliardesimi di metro, mentre l’emissione elettronica può sconfinare nella regione dei raggi Gamma, 1000 volte più corta. E’ quindi possibile ottenere ingrandimenti e risoluzioni impensabili con i metodi tradizionali. Irraggiando un campione da analizzare con un fascio di elettroni, focalizzato tramite l’uso di lenti elettrostatiche, si ottiene una immagine “elettrica” del campione, ricavata dalla quantità di elettroni assorbita. Esistono due tipi base di microscopio elettronico, uno capace di ingrandimenti fino a 1 milione di volte in cui il campione deve essere estremamente sottile per poter essere attraversato dal fascio elettronico e analizzato in tempo reale, e un secondo, con ingrandimento fino a 100.000 volte, che opera su campioni più spessi e facili da trattare, scansiti punto per punto dal fascio elettronico e successivamente visualizzati su uno schermo televisivo.